Recuperata la funzione dei grandi circuiti in modelli di Alzheimer

 

 

ROBERTO COLONNA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 17 ottobre 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Nella malattia di Alzheimer la sindrome clinica, che va dal lieve ma costante disturbo di memoria alla demenza grave, riflette anomalie biochimiche e cellulari che si producono in specifiche regioni cerebrali e in parti definite e accuratamente indagate di circuiti encefalici, secondo quanto accertato particolarmente negli ultimi due decenni di studi sperimentali. Si tende poco a pensare alla malattia di Alzheimer come ad una disfunzione dei sistemi neuronici encefalici di connessione a distanza, e dei grandi circuiti alla base di quei processi globali che caratterizzano la mente umana. E si comprende il perché: nell’alterazione sinaptica lieve delle fasi iniziali, si cerca di individuare processi locali che spieghino i limitati difetti di memoria, mentre quando sono interessate vie estese, come i grandi fasci colinergici del proencefalo, la degenerazione è ormai avanzata e la compromissione psichica, spesso attraverso una fase psicotica, è grave e dominata da un quadro generale di demenza. A ciò si aggiunga che, una volta posta la diagnosi, pur avendo presenti le alterazioni sinaptiche indotte dalla patologia β-amiloide, è difficile non pensare all’evoluzione con massiccia perdita di neuroni, inizialmente nell’ippocampo e nella corteccia entorinale, e poi sempre più diffusamente attraverso tutta la neocorteccia. Anche lo studio cognitivo dei pazienti ha risentito per decenni di una diagnostica che, tendendo a rilevare segni delle placche β-amiloidi e della degenerazione neurofibrillare, ossia i due contrassegni autoptici descritti da Alois Alzheimer, decretava l’irreversibile condanna del paziente.

Anche se lentamente e limitatamente, qualcosa sta cambiando. Recenti progressi nella diagnostica per immagini stanno influenzando il modo di pensare alla malattia di Alzheimer, sia per la qualità delle informazioni in vivo che si sono ottenute, sia perché una diagnosi più precoce concede un tempo più lungo per osservare e cercare di trattare i disturbi cognitivi. Un primo aiuto importante è venuto dalla PET realizzata con PIB (Pittsbourg Compound B), un derivato tioflavinico marcato con l’emettitore di positroni 11C, che si lega con alta affinità ai peptidi β-amiloidi (βA) in vivo. Un secondo e più importante cambiamento è venuto dalla scoperta che la distribuzione anatomica del grande sistema di circuiti e centri di smistamento funzionale, individuato da Raichle e colleghi nel 2001 e denominato DMN (default mode network), corrisponde in gran parte alle sedi preferenziali di accumulo di βA nel cervello (Zhang & Raichle, 2010)[1].

Nella rete DMN si registrano alti livelli di attività neuronica sincrona quando una persona è impegnata in “compiti cognitivi interni”, ossia concentra il proprio pensiero nel ricordo di eventi del passato o nel cercare di prefigurare circostanze future, oppure nel considerare prospettive che riguardano altre persone. Poiché la formazione di βA sembra strettamente legata all’attività sinaptica, ossia l’attività aumenta l’amiloide, è stato ipotizzato che gli alti livelli intrinseci di attività sinaptica della DMN e un accresciuto metabolismo al suo interno, possano giocare un ruolo critico nella formazione e nel rilascio di βA in corrispondenza dei terminali assonici di questa rete (Buckner et al., 2008)[2].

La ricerca più recente ha fornito prove numerose e convincenti di difetti della connettività sinaptica nella malattia di Alzheimer. Tali difetti non sembrano essere ristretti alle reti locali, ma sembrano interessare attività che implicano sostrati neurali ad ampio raggio, come quelli che intervengono nel sonno fisiologico. Marc Aurel Busche e colleghi hanno studiato le disfunzioni di tali sistemi e, riuscendo ad ottenere il compenso dell’alterazione funzionale, hanno individuato un meccanismo sinaptico che la determina (Busche M. A., et al., Rescue of long-range circuit dysfunction in Alzheimer’s disease model. Nature Neuroscience – Epub ahead of print, online 12 October 2015, doi: 10.1038/nn.4137, 2015).

La provenienza degli autori è la seguente: Institute of Neuroscience, Technical University of Munich, Munich (Germania); Department of Psychiatry and Psychotherapy, Technical University of Munich, Munich (Germania); Munich Cluster for Systems Neurology (SyNergy) and Center for Integrated Protein Science Munich (CIPSM), Munich (Germania); Department of Neurobiology, Silberman Institute of Life Sciences and Edmond and Lily Safra Center for Brain Sciences, Hebrew University of Jerusalem, Jerusalem (Israele).

Marc Aurel Busche e i suoi colleghi, prendendo le mosse da evidenze emerse in precedenti studi, hanno focalizzato la loro attenzione sui difetti sinaptici nelle reti a lungo raggio, come quelle che generano oscillazioni ad onde lente particolarmente evidenti durante il sonno profondo, quello che non si accompagna ai rapidi movimenti degli occhi (NREM o non-REM). Tali reti sono importanti anche per l’integrazione di informazioni che viaggiano fra regioni distanti del cervello e sono implicate nel consolidamento della memoria[3]. Vi sono evidenze crescenti circa la frequente alterazione del sonno nei pazienti affetti da malattia di Alzheimer, tuttavia fino ad oggi non è stato chiarito se tale disturbo è direttamente connesso con la patologia da βA.

Impiegando un modello murino delle lesioni alzheimeriane da βA, i ricercatori hanno dimostrato che l’attività ad onde lente (SO, da slow oscillation) è gravemente alterata nella neocorteccia, nel talamo e nell’ippocampo. Ma, soprattutto, la loro sperimentazione ha dimostrato una compromissione della propagazione delle SO strettamente βA-dipendente che causa una drammatica rottura del quadro classico e caratteristico di coerenza a lungo raggio dell’attività elettrica ad onde lente.

Marc Aurel Busche e colleghi hanno poi sperimentato una terapia di questa disfunzione mediante l’impiego di agonisti dei recettori inibitori GABAA. L’efficacia di tale trattamento identifica un meccanismo sinaptico della disfunzione dei circuiti di grande scala presente nella malattia di Alzheimer.

 

L’autore della nota ringrazia Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Roberto Colonna

BM&L-17 ottobre 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Zhang & Raichle, Disease and the brain’s dark energy. Nature Reviews Neurology 6, 15-28, 2010.

[2] Buckner et al., The brain’s default network […].Annals of the New York Academy of Sciences 1124, 1-38, 2008

[3] Cfr. Note e Notizie 03-10-15 Studio diretto nel sonno del consolidamento di memoria umano.